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per altri la lasciò stare, e corse in traccia della donzella. Tornossene ella dal padre, e questi, non restando la fame, venirne al giuoco di venderla, e la fanciulla a cangiarsi in cavallo, in uccello, in bove, in cervo, tutto in somma tranne la propria figura, e con queste perpetue trasformazioni rimanerne i compratori gabbati, e l’ingordo Erisittone averne sempre nuovo danaro per comperare di che pascersi, senza mai, già s’intende, rimanersi satollo. E la storia va innanzi, ma per noi ce n’è quanto basta.
Di questi Erisittoni non è al mondo piccolo numero, i quali vendono i proprii figli a far paga la rabbiosa passione del ventre. E per figli si hanno ad intendere i parti del loro intelletto; nè vogliamo credere che sia una sola spezie di fame che gli consumi. Vedete come calza appuntino l’allegoria! Costoro, facendo professione di gabbare il prossimo pur di contentare i loro cupi desiderii, hanno ottenuto, per via d’artificii che lungo sarebbe narrare, podestà di cangiare forma e colore alle proprie scritture. Oggi sono cavalli tutti foco e alterezza, domani giumenti tutti mansuetudine e pertinacia. Vedi come oggi saltano di fratta in fratta que’ cervi che ieri erano bovi lentissimi e corpulenti. Oh come volano alto pel cielo, colle ali messe non più che da questa mane, quelle aquile che ieri erano oche a diguazzarsi pel lago! Ma in onta alle loro continue metamorfosi giungeranno essi mai a satollare la propria fame? Oibò; crede-