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derne l’erta spedito, non ignorando che non vi avea altro modo di giugnere al termine del suo viaggio. Forse che la morte gli batteva alle spalle ch’egli aveva ancora la strada tra piedi; e allora? Crederete per questo più compassionevole la condizione di lui, che non sia quella de’ poveretti che per inerzia si rimangono a sonnecchiare quando è tempo di trarre innanzi? La speranza, se non più, gli è bastata quanto la vita, e non avrete udito da esso alcuno di quei miseri lamenti che fannosi dalla più parte. Oimè me! Oimè lasso! Oh lunga via! Oh il penoso pellegrinaggio!

Ma l’allegoria continua a corrispondere nel significato. Dopo che Orfeo ebbe perduta Euridice si mise a piangere sconsolatamente, e a chiamarla notte e giorno senza darsi mai posa; nè rimase a ciò, ma si lasciò portare dall’odio a quanto gli cadeva sott’occhi e non era dessa. Di che venute in rabbia le Baccanti della loro spregiata bellezza, gli furono addosso coi tirsi, e il misero in pezzi, lasciando che l’Ebro se ne portasse colla corrente la testa di lui, così come l’avevano fatta lacera e sanguinosa. Similmente degli altri Orfei. Com’essi hanno perduto Euridice, ossia come vidersi tolto dagli occhi il fantasma della loro felicità, più d’altro non curano, e vengono in fastidio d’ogni altra cosa. Eppure infinite altre immagini di felicità volteggiano loro dintorno per adescarli, ma inutilmente. E sono le Baccanti, che non restando di pun-