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ca, che gli fosse restituita Euridice, per un impeto di desiderio intempestivo ebbe a perderla un’altra volta. Molti però sono gli Orfei, a’ quali il dare un’occhiata all’indietro costa niente meno che la perdita d’ogni loro bene più desiderato. Figuratevi che in Euridice siavi l’immagine di quella felicità a cui tutti aneliamo, e che avrebbe secondo il vario gusto d’ogni uomo un nome diverso. Sia un tesoro da seppellire ove non v’abbia chi ci arrivi; sia il sorriso condiscendente della bellezza; o la sommità vertiginosa di un grado nella scala degli umani poteri; o un ramo d’alloro da morsicare a confronto di molte tribolazioni; qualunque in somma esser possa l’idolo delle vostre speranze sia da voi chiamato Euridice; e ognuno di voi si metta ne’ panni di Orfeo, a cui vien detto di portarsene seco dalle caligini di Averno all’aria aperta la sua compagna, con questo di non volgersi mai a guardarla lungo il cammino.

Forse che la modestia vostra vi toglie di credervi Orfei? Or vedete l’inconveniente modestia! Vi accerto che quando trattisi di far domanda ai numi del Cielo e dell’Averno di ciò che crediamo necessario alla nostra felicità siamo tutti, dal più al meno, abilissimi suonatori di lira, e tiriamo fuori una voce piena di forza e d’incredibile artifizio. Che trilli! che volatine! che increspamenti di note! Tutti i tuoni sono ai nostri servigi; ogni genere di musica fa per noi. I bassi e gli acuti, il grave e il vivace, lo spiana-