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farsi in certi modi e per certe stagioni, come appunto vediamo dar fiori la primavera e frutta la state.

Sarebbe adesso un bell’interrogarci a vicenda, dacchè tutti la favoletta presente ci ha battezzati Dioscuri, chi sia il nostro Castore, essendo Polluce ognuno di noi. Ed oltreciò sapere ad ogni quante ore, o giorni, o anni, ci tocchi calare agli elisi, per tornare alla luce de’ vivi dopo un’eguale misura di tempo. Ognuno può fare a sè stesso questa domanda, e nessun’altri meglio di sè medesimo potria dar la risposta. E queste risposte, a voler esser sincere, credo che debbano esser date non altrimenti che colla voce interiore della coscienza. Sicchè ognuno faccia da sè solo, che, quanto a me, parmi già di sentire chi mi fa cenno ch’egli è tempo di lasciar favellare chi mi è gemello, e starmi ad udire così attentamente com’egli ha fatto finora. E s’io potessi scegliere fra lingua ed orecchio, vi giuro, che vorrei esser più spesso questo che quella; ma come s’è detto a principio, tocca ad ognuno fare quel tanto a cui è destinato, e per tutto il tempo che gli conviene. Ora chi si sente di essermi Castore tragga innanzi, e sottentri a mio luogo finchè abbia a tornar la mia volta.


XII. ORFEO ED EURIDICE.

Fu pur sciagurato quell’Orfeo, che dopo avere ottenuto, in premio dell’eccellente sua musi-