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ne a que’ lamenti interminabili che attristano il mondo.
Badate bene alla storia o novelletta dei Dioscuri, che ho data per fondamento a questo mio cicaleccio. Appena ottenne Polluce da Giove l’immortalità, pensò subito a farne parte al fratello. E non fu mica proposito momentaneo, ma continuò sempre, per quello che racconta la favola, a cacciarsi sotto subito che l’ora era giunta di sorgere all’altro. Chi voglia girar l’occhio pel mondo vede, in vece di questi due buoni gemelli così regolati nella loro vicenda, l’insaziabile ingordigia dei fratelli tebani, che volevano mangiarsi il retaggio paterno tutto intero ciascuno, di che ne successe che a nessuno di loro è toccato; quel suolo sul quale non avevano saputo regnare concordi mentre vivevano, sdegnò di ricevere i loro corpi quando la spada fu destinata a decidere la controversia; e la spada fece bravamente l’ufficio suo tagliando netto quel nodo che non si era potuto sgroppare d’altra maniera.
Posto dunque che vi siano ore, e luoghi, ed incarichi per ciascheduno e per ogni dritto il suo rovescio, per ogni soperchio il suo scemo, e così a mano a mano, badiamo che i risalti s’incastrino nelle scanalature destinate a riceverli, affinchè al girar della vite non n’esca stridore, e indi a poco rimanga interrotto il lavoro. In questo esercitiamo, ch’egli è giusto, quanto fu accordato di libertà alla nostra ragione; ch’è