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non resse, che tanto non venivale conceduto dalla propria natura, a quella sovrabbondanza di luce e di terribile maestà, e ne fu morta. Ora non c’è egli qui un emblema apertissimo di chi, non contento del bene, lasciandosi sedurre a tentare quel meglio, a cui non può mai arrivare la nostra miseria, ne rimane distrutto? Oh fosse rimasta contenta la povera Semele a quel tanto che vedeva di Giove! Oh non avesse voluto vagheggiarne la suprema potenza!
E a far più manifesto il senso recondito dell’allegoria, sapete voi che si narri dai mitologi in seguito all’incenerimento della disgraziata fanciulla? Si narra, che ne nacque Bacco, dio, come sapete, del vino, e per conseguenza, ci aggiungo io, dell’ubbriachezza. Ciò, che viene a dire, che questo benedetto amore, e diremo anzi furore del meglio, assai facilmente degenera in ubbriachezza, o partecipano per lo meno dell’ubbriachezza i parti che nascono da questo amore. Non vi sembrano per verità concetti di ubbriachi certe pitture, certe poesie, certe musiche, colle quali si avvisarono alcuni, tenendo altra via da quella che era stata per lo innanzi battuta, rinsavire il mondo e destarlo dal sonno nel quale, secondo il loro giudizio, era rimasto sepolto fino a quell’ora? Ecco in ciò un altro guaio non piccolo nel quale s’imbatte chi troppo s’innamora del meglio, ed è appunto in opposizione a quel primo di chi si rimane contento del contemplare. Sicchè questo infelice desi-