Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/66

58

non è conceduto nemmeno d’immaginare il bene ultimo, il bene assoluto, impossibile ad essere migliorato. Coloro adunque che sono inabili al bene (e qui per inabili vogliamo intendere quelli che non ne hanno la volontà) accorgendosi della vergogna che loro ne verrebbe, credono rendersi scusabili, e avanzarsi fors’anco nella opinione dei poco veggenti, con dire che non fanno quel bene, che pur sarebbe lor conceduto di fare, perchè credono non essere il meglio fattibile; e, confortati da questa squisitissima ipocrisia, se ne rimangono ravvolti, o dirò anzi imbacuccati nel manto della loro accidia, contenti di sè medesimi, e censuratori accaniti del prossimo che si travaglia, non potendo raggiugnere il meglio, ad operare il bene semplicemente.

E per verità gli è doppio il danno che apportano al mondo questi amatori del meglio; primieramente di tutto quel bene che non fanno, e in secondo luogo di tutto quello che, fatto dagli altri, ha le loro censure. Infestissima razza, che potrebbe assai bene essere paragonata alla ingorda e indolente famiglia dei fuchi, i quali, a non altro buoni fuorchè a ronzare, come l’api hanno condotto molto innanzi l’opera del mele, s’intromettono furtivi nelle colme cellette e si impinguano all’altrui spese. E similmente questi poltroni maligni, vociferatori instancabili di quelle virtù che non hanno, là dove altri si strugge l’anima e si tormenta la vita a praticarne qual-