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convenga essere, oltrechè pensata, praticata; intendiamo di cosa per cui la vita dell’uomo avesse a rimanere infeconda d’ogni qualsisia onesto frutto, quando l’oggi fosse intento soltanto a disfare il ieri, o a costruir ciò che sarebbe opera del dimani il mettere a terra. Purtroppo è l’uomo di naturale vario e perplesso, e quando anche nessuno motivo di dubbio incontri nel suo cammino, e tutto quello che gli è dato vedere sia luce, fabbrica a sè stesso difficoltà con assai funesta sapienza, e crede tenebre insorte ad attraversargli il passo quelli che altro non sono salvo paurosi fantasmi della sua immaginazione. Di che ne consegue, che, quando anche trattisi di verità e di príncipii profondamente radicati nel suo intelletto, l’esitanza e il disvolere non mancano alla incerta e travagliosa sua vita; figuratevi poi quando abbia quei se, quei ma, quei forse, e la infinita coorte delle formule condizionali e ristrettive, trovate fuori per la più parte dalla ignoranza a conforto della viltà.

Non osano questi Tiepidi, come li chiamava il Savonarola, questi Aireti, come hanno nome presso gli orientali, questi Protei, come possono chiamarsi presso ogni nazione; non osano, dico, metter fuori coraggiosamente la formula esprimente con termini generali la vigliacca irresoluzione della loro anima; che sarebbe di tal maniera: io farò il bene, se... vorrei far il bene, ma... E quindi si fermano ad ogni pomo d’oro che trovano, o vien loro gettato lungo il