governo dei cavalli portatori del giorno, e sì gliene seppe dire (aggiungendosi al soro ragazzo la madre per compagna della preghiera) che non fu possibile al Dio, quantunque già tutta antivedesse la miseranda catastrofe, negargli l’adempimento della sua voglia. Il padre in questo caso non è d’altro colpevole che di connivenza; se già non gli era stato, come cantano le favole, carpito in prevenzione quel giuramento, al quale i Numi stessi, una volta pronunziato, non potevano mancare. Ma Dedalo fu egli stesso che trasse il figliuolo a quel termine doloroso: egli l’inventor della frode, egli il fabbricatore dell’ali. Il povero giovane, chiamato dal padre a stretto colloquio (parmi vederli in un appartato stanzino della reggia, il padre tutto sospetto negli atti e parlando a mezza voce, il figlio con occhi scintillanti di curiosità e tutto fuoco di giovanil confidenza); chiamato, dico, dal padre il povero giovane a stretto colloquio, si sente proporre da chi tanto doveva avanzarlo in prudenza, niente meno che un viaggio per l’aria; si vede metter dinanzi due ali bell’e fatte, colle quali traversare volando, città, foreste, montagne e, non ch’altro, la stessa sterminata ampiezza del mare. Vi pensereste che la giovanile vaghezza dovesse tener saldo alla tentazione, col senno che appena sarebbe presumibile in una testa canuta? Oltrechè egli era il padre che consigliava quel viaggio. Ma, dicesi, la colpa del figlio è riposta nel non aver saputo o voluto tenersi a mezz’a-