Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/50

42

ma nei Coribanti ci veggo altra cosa che i suonatori dell’orchestra, o i dispensieri della fama: ci veggo niente meno che il pubblico tutto, in anima e in corpo, il quale fa vezzi e moine al lavoro dell’artista, e gli balla allegramente d’attorno, senza punto badare all’autore che se ne sta in un cantuccio appartato, proprio come quel vecchio Saturno, a cavarsi la fame coi sassi. Davvero che se al pittore è passata per l’animo una simile idea, mostra d’esser uomo molto amico della giustizia, e conoscitore del mondo. Non vanno forse le cose di questa guisa, trattandosi ancora degli uomini più famosi? Il prezzo che ricevette il Milton del suo maraviglioso poema non è tale da far compassione e dispetto? E mentre tipografi e librai s’ingrassavano colle ripetute edizioni della Gerusalemme, non toccava al povero Torquato di lagnarsi che gli fosse impedito dalla sua povertà di mangiare il pollo che tanto amava, e di essere invece astretto a rimanere contento alla zuppa d’erbe, ch’era per esso vivanda scomunicata? Non è egli questo un vedere i Coribanti che ballano e suonano a festeggiare il nato fanciullo, mentre il povero padre se ne sta a dente asciutto, o gli tocca romperlo nei macigni? A questo nuovo commento fatto alla pittura l’amico sorrise, e riprese: quantunque capisca essere questa tua un’ingegnosa ipotesi, anzichè la presumibile intenzione del pittore, te ne fo i miei complimenti, concorrendo teco nella sentenza, che il pubblico