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V. I CORIBANTI.
Non so per verità in qual paese, e nemmanco a qual tempo, due giovinotti, usciti di fresco dagli studii, trovaronsi seduti uno a canto l’altro nella platea di un teatro, buona pezza prima che incominciasse la rappresentazione. Imbevuti come erano tuttavia delle melense idee della scuola, pensavano che chi va al teatro dovesse prender parte allo spettacolo dal principio al fine, e per giunta di pedanteria, non fosse fuor di ragione lo spendere un quarticello d’ora attendendo, per dar campo, come dicevano que’ buoni ragazzi, alla fantasia di sgomberarsi dalle immagini della vita reale, e rendersi meglio capace a ricevere le illusioni della scena. Erano dunque seduti uno a canto l’altro, circondati dal lieve bisbiglio, e da quel quasi crepuscolo che precede il levar del sipario. Avevano appunto gli occhi al sipario. Non è il sipario la meta nella quale concorrono tutti gli sguardi (intendo parlare della platea, chè nei palchetti c’è altro che fare) per l’impazienza di vederselo tolto d’innanzi? E poichè guardando il sipario non c’è miglior discorso da movere, specialmente per due giovanotti che abbiano lasciato or ora la scuola, della favola, o storia, o allegoria, o altro che si voglia, in esso sipario rappresentato: vedi, disse uno, quella pittura? Mi pare che siano i Coribanti che danno dentro ai loro cembali per far