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esso quel tanto che apparisce da quel che si cela, e via discorrendo, fino a porre a limbicco, come cantava piacevolmente il barbiere fiorentino, limature di nuvole stillate. E il troppo assottigliarla la scavezza, lasciò scritto un altro valente uomo, non so se fiorentino, ma certo come diceva, valente uomo.
La corrucciata Ciprigna, essendosi accorta della infrenabile curiosità di Psiche, e per conseguenza del dove poteva più facilmente esser presa per modo da non più fuggirne, le diede certo bossolo da portare a Proserpina, con entro non so qual essenza spiritosa, di sì maledetta ragione, che al levar del coperchio, per l’odore acutissimo, che ne usciva, era giuocoforza cadere a terra privati di vita. Alla pruova della cerna del grano v’avrà forse chi regga, che ci sono a questo mondo di cosiffatte pazienze, che di nessuna lungheria si sgomentano; ma alla prova del bossolo credo ben pochi saranno quelli i quali sappian resistere. E lo apriranno quel bossolo insidiosissimo, e all’uscire dell’infernale profumo dovranno dar della schiena in terra, essi che volevano numerare le stelle del cielo, e le arene del mare. In somma potete dire, senza tema di dir cosa falsa, che in quel bossolo è chiusa la loro morte, e o tosto o tardi dovranno fiutarla, appunto per quel loro vizio che hanno contratto di voler ficcare il naso dappertutto. E a dirvela coi versi di un mio amico, che trovo stampati in un almanacco di questo anno 1834,