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propria del bimbo e della femminetta. E qui, se vi regge la pazienza, tornate a quello che ho detto altra volta giovandomi dell’allegoria di Tiresia, ossia di certi tali che per veder troppo si conducono a diventar talpe che non veggono nulla.

E volete sapere propriamente che cosa ne avvenga a chi tenga in mano quella benedetta lucerna, e si faccia a spiare il suo bene fra le tenebre del mistero dalle quali era avvolto? Abbiatelo da quello che la favola ci narra della troppo credula giovinetta. Le convenne, come vi ho accennato poco fa, obbedire alle durissime condizioni che le impose Ciprigna. Figuratevi la Dea della bellezza diventata invidiosa di questa mortale fanciulla! Quella Ciprigna che avea condannato la figlia di Ciniro al più nefando tra gli amori! È toccato dunque alla povera Psiche, impaziente come esser sogliono le ragazze, spezialmente se fortunate in amore, disceverare grano da grano in un mucchio grandissimo di biade di varia natura. Parimenti a chi siasi cacciata addosso questa sciaguratissima febbre dell’indagare in ogni cosa le riposte ragioni, di sospettare che v’abbia dappertutto alcun che di nascoso, è necessario durare l’inenarrabile fatica di disgiungere le parti quante mai sono ancor che minute d’ogni tutto; e non solo fermarsi a considerare, a cagion d’esempio, come fossero separati, uomo da uomo, ma l’uomo d’oggi da quello di ieri o di domani, ed in


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