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to lontano dalla tavola. Ma non per questo ristà dal lavoro, e aiutandosi d’uno scanno per soprastare alla fabbrica, aggiugne carte a carte, finchè le inferiori s’allargano, il campanile tentenna, e giù tutto l’edifizio d’un crollo. Contentiamoci d’una felicità senza cupola, non cerchiamo venire in soverchia notizia dei fondamenti sopra i quali si leva, viviamo in una ragionevole perplessità, e per voler esser troppo felici non arrischiamo di farci miseri affatto.
Che importa che si sappia da noi come e perchè siamo felici, purchè lo siamo? Che importa sapere qual sia la lega della moneta che abbiamo in tasca, quando possiamo spenderla quel tanto che ci bisogna? Anche qui non s’intenda che s’abbia a pigliar il piacere come vien viene, e ad occhi chiusi; vero piacere non stimiamo che dar si possa senza rispetto a certe regole generali di giustizia, che non è qui luogo annoverare, chi non voglia cambiare un piacevole discorsetto in una lezione di catechismo. Seguitando dunque così leggermente come si conviene a queste carte di lettura fuggevole, basterà che badiamo a guardarci da quei consiglieri invidiosi, e il mondo ne contiene innumerabili, i quali ci vanno tormentando la vita con dire, che il Dio di cui ci sono concedute le nozze gli è un mostro, e ci fanno cercar di tutto le prime e recondite cause. Un libro reverendo ne insegna a conoscere dai frutti le piante, e chi vuol raccogliere ciliege dal sorbo gli è