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vuole avere chi le metta, come suol dirsi, le mani davanti. Staremo dunque con le mani in mano, o aspetteremo come il fiorentino di buon umore, chi ci venga a porre il cucchiaio alla bocca e cantare la nanna, e noi giacersene sotto la coltre a poltrire? Anche qui alquanta di quella discrezione che sono solito d’implorare da’ miei lettori. Pioggia s’intende di quella minuta e da primavera, non acquazzone d’estate da empir le secchie in due sgorghi.
Ho detto che non bisogna ficcar gli occhi troppo avanti nella propria fortuna, perchè la non ci fugga. Intanto guadagneremo di viver sempre compresi da un sentimento di bella modestia, guardandoci bene dall’ascrivere a nostro merito ciò che non è forse opera d’altri che del caso, come va inteso, e come siamo tutti d’accordo si debba intendere. Ma, ciò che più importa, ci avvezzeremo a contentarci del bene senza correre in agonia dietro il meglio. E questa disgrazia ci potrebbe venire addosso benissimo quando volessimo lasciarci portar via dalla smania di specolare più là che non è conveniente entro le cose che ci danno diletto. Persuadiamoci pure una volta, che quanto si fa e si pensa da noi sono castelli di carte, nè più, nè meno di quelli con cui si trastullano i ragazzi nelle lunghe sere d’inverno. E già l’edifizio bambinesco è salito a due, a tre, a sei, a dieci palchi. E come gongola il ragazzetto, che a volerne veder la cima gli conviene alzar gli occhi e farsi alquan-