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le, ma di questa guisa dì stravaganze non abbiamo esempi continui presso che in tutti gli uomini? Sono pochi quelli che non sapendo leggere comperano libri? Che, giunti ad età decrepita, pigliano moglie? Che con voce rauca ripetono tutte le ariette alla moda? Qual più qual meno, tutti costoro, sono paragonabili al mio povero cieco? E non lo siamo tutti in generale che viviamo, avvisandosi di poter ridurci a tal grado di altezza, donde, se non oggi, domani poter vagheggiare quel volto di felicità cui pur sappiamo che nessun uomo è mai giunto a vedere? E chi ne dicesse: sei cieco, fratello mio; e quando anche sarai giunto con infinito studio e fatica lassuso, vedrai nè più nè meno di quello che vedi ora standoti al basso, e rinchiuso nella tua stanza; noi gli risponderemmo di volere studiarci a salire, e che gli sapremo mandar le novelle di quanto ne sarà dato scoprire dall’agognata altezza. Perdoniamo dunque anche al nostro cieco la sua debolezza, e non siamo tanto presti a farci beffe della sua fabbrica.

Ma un’altra considerazione mi accadde di fare. Sarebbe possibile di trovare nella stessa infermità di quel dabben uomo conveniente motivo all’edificare della sua specola? Proviamoci d’indovinarlo. Chi sa che non ci venga trovata un’utile lezione di saviezza quivi stesso ove ci parve di non trovar altro che una prova di singolare stoltezza.

Certo è che quelle cose con più avidità da