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QUINTESSENZA DEL PIACERE.


Una lunga esperienza fatta in pochi anni di gioventù, nei quali, a contare tuttociò che si prova, possiam dire di vivere una vita centuplicata, aveva posto Stanislao R*** nella dolorosa certezza che fosse assai scarsa la porzione dei beni che gli sarebbe conceduta a questo mondo. In un’ora di pensoso silenzio, in cui chiamò, come a dire, a raccolta tutte le potenze dell’anima, si mise ad annoverare i piaceri del tempo passato: ricorda questo, e quest’altro, e un terzo, e un quarto... e non più? Non più! soggiunse allora fra sé, crollando il capo malinconichissimamente. E saranno questi pur quelli di tutta la vita! E il resto? Noia e dolore. A tal punto rimase più attonito che addolorato.

Questi piaceri, a bene considerarli, sono venuti spontanei a cercarmi, anzichè io gli andassi a trovare. Ed io non devo esser buono a nulla per la mia felicità? Ecco da qual riflessione ebbe origine la sua maraviglia. Ma, tutti quelli che sono sempre contenti, che sorridono al sole quando nasce, e quando tramonta gli parlano come ad amico che ci tenne buona compagnia, e a cui raccomandiamo di farci un’altra visita quanto prima, tutti quelli (sempre fra sé Stanislao) non sono impastati della medesima mia carne, non hanno le mie facoltà stesse, povero ipocondriaco? E perché sono tanto contenti?