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perdi la conoscenza del vero e non sai più chi abbracciare come amico, e da chi guardarti come da nemico. E anche la favola dei serpi battuti, cagione alla metamorfosi, mi metterebbe in un bel campo d’applicazioni. Ma non è il tempo. Il desiderio più vivo della mia anima sarebbe di veder pur fallita una volta la bottega di questi impostori maligni, e il loro balsamo gettato per terra e calpestato da ognuno che passa. Se non che converrebbe nettarsi i piedi, perchè quel loro empiastro è sì contagioso, che non vi ci arriva il secreto di que’ maledetti untori del secolo decimosesto, che possono maledirsi allegramente come persone che non furono mai.

Per conchiudere con un poca di consolazione, sapete voi a chi una Dea, se non Pallade, più ritrosa di essa, si è lasciata vedere, senza che ne scapitassero punto gli occhi, nè altro? A’ quel meschinello cacciatore, a quell’Endimione tapino, che tornato dalle sue corse, senza darsi un pensiero al mondo nè di Diana, nè d’altre divinità, si era posto a dormire con appiedi i cani, e un sasso per capezzale sotto la nuca. Oh! egli sì che ha veduto la bellezza invidiata; e dai poeti si dice che ne rimanesse contento. Ora per non cessare dal riferimento del senso allegorico al proprio, sono quelli che continuando la vita in una operosa oziosità, non ristanno mai dal cercare senza darsi vanto di aver trovato, sono quelli, dico, ai quali le verità più riposte spontanee si profferiscono. E non per questo ne rimango-