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nerne impressionato, ne dà avviso sollecito ed infallibile senza badare se gli sarà o no dato ascolto. Vorrei continuare a fare l’elogio di questo termometro della mia stanza, ma mi sento portato a parlarvi d’altro per non riuscire prolisso, voglio dire dei termometri che incontro tutti i giorni via per le strade.

Essi mi sono vantaggiosi, nol nego; ma non gli amo. Oh non gli amo questi termometri animati, la cui parte spirituale è tutta mercurio, che s’alza e s’abbassa secondo i mutamenti dell’aria! Eppure non si può a meno di confessare, che a chi sappia interrogarli non apportino spesse volte molti vantaggi. Io ne ho parecchi ai quali professo grandissima obbligazione. Se io voglio sapere che opinione corra di me fra quelle persone, che scioperano tutto il giorno per trovarsi più vigorose la sera a fabbricare opinioni, non ho che a far visita a Fidenzio, e a cercare d’imbattermi in lui per istrada. Quel risolino onde accompagna il saluto, il premermi la mano più o meno forte, il cavarmi di cappello con maggiore o minore esuberanza, mi sono indizii infallibili a congetturare che cosa sia stato detto di me la sera innanzi. Una mattina fra l’altre Fidenzio mi colmò di gentilezze, mi accompagnò buona pezza verso il luogo a cui ero incamminato, togliendosi alla sua strada, fu lì lì per annoiarmi colle reiterate proteste della sua amicizia, e cogli interminabili elogii al mio merito: che diamine! diceva io fra me stesso, non