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fui l’abominio de’ miei nepoti; ma ella mi stringeva senza ribrezzo al suo seno, e i suoi occhi si giravano compassionevoli alla riprovata mia fronte. Nè briciola di vivanda, nè sorso d’acqua trovò più aperto il passaggio delle mie fauci; ma gli sguardi pietosi e il mesto sorriso di lei mi erano cibo e bevanda e ogni cosa! E quando io non poteva dormire (mai non ho potuto dormire dopo la colpa!) ella vegliava al mio fianco, e tremava con me sotto la brezza inclemente del cielo! E questo mio continuo disperato dolore, questo, ahimè! la distrusse; e allora, allora veramente mi accorsi di essere maledetto, perch’era solo!
Ah quando la sua mano tremò nelle mie per l’ultima volta! La mia mano che inaridiva ogni cosa, trasfondeva una parte del mio tremito interno nella dolce compagna, senza nuocerle punto, o ch’ella non se n’avvedeva. E mi fu forza il lasciarla. Ah quando si scontrarono nei miei per l’ultima volta i suoi occhi!... Ella non più parlava di già da molte ore, ma la vita fuggitiva le si era arrestata nelle pupille: di là mi diede l’ultimo addio. Oh mia!... (qui nuovamente al proferir di quel nome le parole spirarongli sulla bocca). — E, come fu indarno il chiamarla che feci molte ore, e mi circondava la solitudine, dovetti incaricarmi io medesimo del cadavere amato, e portarlo sopra un’altura per seppellirlo. E mentre io trangosciato saliva per l’erta, volendo nascondere quelle care reli-