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per una parte compiangeva la molta miseria della nostra natura, mi confortava per l’altra di trovare la interpretazione da me data alla favola antica molto corrispondente alla verità. Egli è da por mente a questi Tiresia, non foss’altro, perchè la comune degli uomini, sopraffatta dalla fama, molto facilmente soscrive alle posteriori sciocchezze di chi una volta ha pensato e parlato a dovere. Il gastigo del giovine tebano è bene che sia ricordato da ciascheduno il quale oda favellare chi ha già l’aureola della gloria intorno alla testa; ed ognuno prima di concorrere in opinione a cui sentirebbesi inclinato per solo il motivo che gli viene riferita da chi tenne altra volta opinioni giuste e credibili, dica fra sè: vedesti Pallade una fiata così, come non è veduta dagli uomini solitamente; ma non per questo hai fatto l’occhio più fino, se già non sei all’incontro rimasto cieco del tutto.

Ma non è questo l’intero costrutto che parmi di dover trarre dalla favola. Finora il discorso si è tenuto lontano dall’universale, e sembrò mirare soltanto al particolare degli uomini dotti, scopritori di grandi verità, e di misteri reconditi della natura. Si può per altro, e si deve, chi voglia spremere il miglior succo dall’allegoria, riferire siffatta dichiarazione ai giudizii che a tutte l’ore si portano nei familiari colloquii intorno a quanto si pensa o si opera da’ nostri fratelli. Oh! la numerosa famiglia che è quella di cotali Tiresia, che acculattano panche, e fregano pubbliche