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conviene, e liberatemi col vostro buon senno dall’indugiarmi più oltre su questo argomento.


III. TIRESIA.

Avete voi mai badato alla strana ventura che accadde in giovinezza a Tiresia? Tiresia, voi già lo sapete, era un tebano a cui occorse di vedere, probabilmente d’estate, la Dea del sapere, che tuffavasi nell’acque di una fontana a nettarsi dalla polvere della corsa, o a godervi un poco di fresco. Questa veduta gli costò niente meno che la perdita d’ambedue gli occhi, i quali, quantunque dagli storici di quel tempo non venga detto, so per tradizione, conservata tra i dotti, ch’egli aveva bellissimi. Il fatto ebbe molte interpretazioni, e molti commenti ci furono aggiunti. Chi volle con questo significata la inflessibilità del pudore nel gastigare chi gli fa oltraggio, fosse pur d’una occhiata; e siffatta definizione andò molto ai versi di certi uomini dabbene, per giudizio dei quali ogni più ovvia sentenza ha bisogno del velo dell’allegoria ad essere nobilitata e guadagnarsi seguaci. Alcuni altri, avvezzi a veder buio anche sotto il sole di mezzo giorno, si avvisarono di derivare da ciò un argomento di vitupero per la Dea, come quella che avesse voluto togliere al giovine la possibilità di certi confronti, e scemar fede accecandolo a’ suoi giudizii. Fu anche chi disse che la gelosia avesse invaso per modo il cuore di Pallade, da consi-