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spetto dovuto alla paternità; non vedeva in somma di meglio che parlare a Policarpo. I suoi patimenti, la forza a sè fatta, le molte riflessioni rigettate e riprese nelle lunghe ore in cui non poteva dormire, o in quelle nelle quali non voleva spassarsi in compagnia delle altre sorelle, le avevano dato questo coraggio, e potevasi dire che fosse il coraggio del pudore. Un tale coraggio è incomparabilmente più incrollabile e più efficace di quello che procede dalla spensierata non curanza della dignità propria, e si direbbe procacità con più giusto vocabolo. Certe anime, che non bene misurano la capacità loro, e l’intensità dei doveri che impongono a sè medesime, gettandosi avventatamente nel precipizio, abusano, per lo più fuor di stagione, il coraggio onde avrebbero potuto usare con vantaggio vero e con lode preventivamente. Anche in questo caso è da compiangere la nostra misera debolezza, per cui fabbrichiamo i più gravi de’ nostri infortunii, con quei mezzi stessi che sarebbero stati opportuni all’edificio della nostra felicità. Ma di commenti abbastanza.

Se ci ha tra i lettori di questo racconto chi prendesse parte all’afflizione della giovane professante, ho una buona novella a dargli, ed è che il prelato fece ritorno al convento. Dovesse ritornarvi per altre cagioni, o gli fosse sembrato cagione bastante l’esame delle disposizioni non bene accertate di Felicita per la vita monastica, il prelato da indi a tre giorni fu vedu-