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E fu egli perciò più felice? A somiglianza di Mida, che rabbiosamente domandava a sè stesso: che ne debbo far di tanto oro? al nostro dabben uomo toccò più volte di maledire l’inconsiderato suo desiderio dicendo: a che mi serve tutta questa verità, che mi vien sotto gli occhi dappertutto e ad ogni ora? Questa troppa verità io non posso inghiottirla; è cibo troppo ruvido al mio palato, e mi accorgo che mi metterebbe a tumulto lo stomaco se ve la cacciassi dentro per forza. Ed era diffatti venuto in sospetto di tutto e di tutti, e da ognuno in cui scontravasi per istrada se ne guardava come farebbesi da nemico. Quando taluno gli parlava, egli ci capiva subito il sentimento contrario al suono superficiale delle parole, di che le più dolci e ingegnose lusingherie gli tornavano acerbissime all’anima, e il crucciavano a morte. E intendendo benissimo come gli errori che travagliano la nostra misera specie potrebbero essere tolti via, o per lo meno scemati, era afflitto d’intollerabile angoscia al vedere come anzi crescevano, e mettevano di giorno in giorno radici più salde. Per lo che gliene venne all’animo sì grande passione che non con tanto fervore aveva pregato il filosofo che il volesse provvedere della necessaria dottrina a scorgere il vero di ogni cosa, con quanto il ripregò che questa infelice facoltà di scorgere il vero in ogni cosa gli fosse tolta. Ed ecco che la storia, continuando a camminare appaiata alla mitologica allegoria, narra esser egli venuto a capo di riabilitarsi alle antiche il-