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tengo nei semplici termini della filologia, che, maneggiata com’è dalla comune de’ dotti, non vede più oltre della fedeltà grammaticale; mi è forza, dico, premettere questo avvertimento, perchè, sdegnati i lettori di ciò che può avere a prima vista l’aspetto di paradosso, non gettino la carta senza badare più oltre. Piacemi ancora premettere che laddove si trattasse d’una quistione letteraria, o di diciferare qualche punto controverso di storia o di antiche costumanze, sarebbe compassionevol follia il non ricorrere ai sacri Codici fontanalmente; ma non è questo il caso nostro. Sennonchè ad abbassare alcun poco la soverchia petulanza di certuni, che si credono una gran cosa in ebraicità per intendere sottosopra qualche versetto della Scrittura, e con questo bel corredo di scienza s’attentano malmenare le traduzioni più riputate, domando: con che sicurezza procedano nella lettura di un libro che ancora nè essi sanno, nè gli eredi della santa nazione, se sia o no metrizzato ed è scritto in un linguaggio che ad ogni vocabolo concede un numero spropositato di diverse significazioni? In tanta distanza di tempi, in tanta alterazione di costumi e di riti, nell’assoluta mancanza d’ogni altro libro scritto nella stessa lingua, onde giovarsene nei confronti, che cuore, che faccia avranno di proporre per certa ed incontrastabile una loro variante, una loro interpretazione? Se fra gli Ebrei stessi è quistione sul più de’ luoghi? Se subito dopo il termine della babilonese schia-