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ai sensi ed all’esperienza, e non va più là col pensiero di quello possa col tatto, è la capitale nemica della poesia, quand’essere ne dovrebbe il sostegno e la guida. L’uomo, obbedendo alla sola esperienza, rinuncia ad ogni più dolce prestigio; una calma, da chiamarsi piuttosto stanchezza, di esso s’impadronisce, e l’infelice, tardi si accorge del cattivo cambio che ha fatto, avendo abbandonato il desiderio irrequieto ed interminabile dell’infinito, che pur ha in sè qualche cosa di vitale e di attivo, per la monotona ed infeconda adorazione del nulla: simile a chi fugge dai fiori d’un giardino che non può toccare, ma di cui respira gli effluvii e vagheggia i colori, per abitare le secche arene e la solitudine dei deserti. Guai a chi vive quando il credere non è più necessità ma vergogna; quando è reputato più nobile il tutto ignorare che il credere qualche cosa!

Mancata la mano dell’artefice, s’invoca il sussidio delle macchine; ove sian rari, se pur ce ne sono, gli esempi, si moltiplicano a dismisura i precetti; chi non sa dare nulla del proprio si contenta del commentare l’altrui. Questo è destino inevitabile a tutte le nazioni. E il fuoco dell’inspirazione rimarrà sempre occulto; quegli stessi che lo posseggono, quando si sforzano di rivelarlo, smarriscono sè e chi gli segue. Il Tasso immaginava l’allegoria dopo avere composto il Poema, ed assoggettava a misera struttura meccanica l’alto e indefinibile volo del divino suo ingegno. De-