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anelava a raccogliere i rimasugli della mensa del ricco e cui rifiutavano i cani, egli studiavasi di porre a profitto secondo venivangli scarsamente gittate dalla opprimente e avara fortuna. Fino a questa stagione lo stile del Pezzoli, adorno di molto brio e di molta giovanile vivacità, poco o nulla riteneva di quella secura ed uguale forbitezza, onde sono distinti i veri scrittori dai guasta-mestieri, innumerabili e difficili ad essere riconosciuti, come in ogni arte, così pure in letteratura. E a questo infervoramento nello studio dei classici, e a questa perfezione di gusto protestavasi egli debitore, chi il crederebbe? ad un giovanotto, che ad esso minore d’anni, e com’esso, ma per altre ragioni, segregato dagli studii la più parte dell’ore, pure, e per felice disposizione sortita dal nascere, e per grande amore a tuttociò che potesse avervi di bello e di generoso, erasi condotto molt’oltre nel sentimento delle squisitezze de’ nostri sommi scrittori, e messo buon fondamento a quella fama, cui fu impedito di conseguire dalla velocità della morte, che il sopraggiunse non più che a mezzo il cammino. Era questi Vittore Benzone: e il Pezzoli cominciando dal maravigliare, e poco men che dal ridere della stitica ritrosia con cui il giovane, che aveva nome di dissipatello più ch’altro, abbracciava una voce o una frase, indi ne faceva rifiuto, e così parecchie volte alternativamente, terminò persuadendosi non essere poi tanto vane nè tanto inutili quelle lentezze,