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governare, un grandissimo elemento rimane tolto a quel tema di maraviglia, e quindi di magnificenza. E di quanto non è egli scemato per noi lo stupore del veramente sovraumano ardimento del Genovese nell’afferrare, con tre picciole barche, rive affatto incognite e lontanissime, oggi che i battelli a vapore ritentano ad ogni ora quel vasto tragitto, e gli abitanti di colà vengono a sedere nei nostri teatri, e nelle sale dei nostri ridotti, costumati alla nostra maniera; e anch’essi producono politici, economisti, fisici, moralisti, e, non che altro, poeti e novellatori, nè più nè meno di noi?

Forse che avrebbe potuto ringiovanirsi per noi un tal soggetto considerandolo nelle sue relazioni coll’avanzamento di tutta la civiltà europea. Questo però non entrava nel disegno del Pezzoli, il quale avrebbe parlato di quella scoperta come il Tasso delle crociate, e si avrebbero descritti quei luoghi, dei quali, sebbene lontani, possiamo dire di avere attualmente notizia come di casa nostra, a quella guisa che i romanzatori del cinquecento ci ritraevano i regni del Cataio e di Bellamarina. Il metro scelto dal Pezzoli discordava per altra parte dalla fantastica trattazione, ed era lo sciolto; forse per acconciarsi all’autorità del Chiabrera, che un molto bel dialogo dettò su questo proposito, e all’esempio del Tasso, che a stagione più tarda in quel metro e non altrimenti compose il divoto poema, a cui descrivono fondo il cielo e la ter-