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to navigatore, rivela i dolorosi misteri della propria anima, vaga ancor essa di segnalarsi per la conquista di un nuovo mondo, ancor essa malignamente tardata e impedita nel suo nobile desiderio.

Il retto giudizio del Pezzoli si pare in questo rifiuto. Oltre tutte le ragioni addotte dal Tassoni nella sua lettera all’Anonimo, altre ve ne hanno tutte proprie del tempo nostro per distogliere chi abbia buon senno dal porsi a trattare un simile tema con lunga epopea. Bastava accennare al critico modenese la poca squadra del Colombo, l’indole non punto guerriera degli Americani prima dell’approdarvi de’ nostri, e le nessune armi ond’erano protetti, giovandosi nelle cacce di soli grandi archi con frecce aventi per punta non più che pietre aguzzate. Da ciò conchiudeva, ch’ove pure avesse taluno voluto travagliarsi in sì difficile arringo, gli convenisse, anzichè dell’Iliade, far ritratto a sè stesso dell’Odissea, come il Camoens, ne’ suoi Lusiadi, del cui poema occupano tanta parte i racconti delle nazionali glorie, tant’altra i pericoli della navigazione, che la men vasta si è quella conceduta all’operare di Gama per la scoperta del Capo. Ma il poeta moderno ha, oltre i soprannotati, molti altri ostacoli da superare. L’agevolata navigazione avendoci resi familiari i costumi di que’ popoli e la cognizione del loro paese, anzi avendo noi in essi rifuso gran parte degli usi nostri, delle religioni, delle fogge del