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rare alla moderna, e l’interno abituale sentire all’antica, era puossi dire, comune a tutto il popolo, che chiamato al potere stringevasi nelle spalle, nè più nè meno di quelli, che, astretti a difenderlo, lo rinunziavano. Una turba intanto d’illusi, cantando inni e ballando davanti a non so quale simulacro di non so quale felicità, rendeva immagine, anzichè di contenta nazione, di miseri delinquenti che si studiano movere i piedi a grand’arte sulle piastre infocate a cui sono daunati, per sentirne men forte la scottatura. E vedevansi, senza divario d’età, di sesso, di condizione, appaiati la giovanile spensierataggine e il senno canuto, la bellezza adescante e la claustrale rigidità, la baldanza soldatesca e la pacatezza civile: tra i pennacchi e le scimitarre le cocolle e le toghe, assise di servitù e stemmi gentilizii, le une agli altri addossate, e premute, e travolte nella gran ruota del comune sovvertimento.

Tale sovvertimento non poteva a meno d’imprimere una traccia molto profonda anche agli studii; di che naturale effetto può essere considerata la convulsa impetuosità che traspariva dalle scritture tutte, senza distinzione alcuna tra il verso e la prosa. Bene è vero che la effimera festa democratica diede luogo a più sedati consigli, rimauendo le lettere niente più che spruzzate dal turbine passaggiero: ma l’impulso militare, che indi Europa tutta ricevette dal Guerriero fatale, continuavasi troppo bene a quel pri-