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catene da poter essere a voglia altrui sollevato o lasciato cadere. E riferendoci noi, che siamo usi a veder nella pietra così gran mole, a quel povero ponte d’allora, ci tornano alla memoria i ficulnei penati di Roma, quando il Giove dei conquistatori del mondo avventava le folgori di sotto i vimini di povera capannetta foggiata ad altare. Ma intorno a que’ poveri altari dimoravano le virtù tutte e guerriere e civili; e del pari vedi far corteggio a quel ponte, in apparenza sì povero, l’abbondanza e la vita di una grande e ricca città, e propriamente di questa nostra. E le gondole non ancora cangiate in feretri, ove la voluttà mollemente adagiata sembra avere continui ricordi dell’atra notte che preme e circonda ogni nostro diletto, ma dipinte a colori varii e vivaci, aperte all’aria e alla luce, e adorne di frange e ghirlande; e con ragione, quando ogni giorno poteva chiamarsi festivo. E non so se altri abbia badato a que’ barcaiuoli, che al nero color della faccia, al breve e scollacciato vestire, alla bianca gemma pendente all’orecchio, si palesano nati sotto sole inclemente, e qua venuti per ristorarsi a più mite cielo, se avervi poteva ristoro nessuno alla schiavitù. Che tale e tanta esser dovesse l’impressione che ricevevano quei pittori dalla vista della lor patria, e non abbia io punto esagerato, ne rendono pienissima testimonianza altri quadri d’altri artisti di quella stagione, i quadri, a cagion di esempio, di Lazzaro Sebastiani e di Gentile Bellino. Al vedere di que-