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dei loro porti: Ofir l’oro, e la sepolta Berenice le sue conchiglie. Abbandonarono le tortorelle i giardini di Rosetta e di Menfi, ricchi di colori e fragranze, per venirne a gemere nelle sale di questi palagi, a trastullo delle giovinette patrizie; l’avorio ed il sandalo, maestrevolmente intarsiati ne’ domestici arnesi, abbellivano il liuto de’ giovani erranti la notte per questi canali. I cristalli di Tiro, i marmi d’Ava, il cedro e l’ebano d’India e di Palestina erano fregio e sostegno alle sale ed alle anticamere; e ciò ch’altri destina a misera mostra di lusso, sprofondavasi con nuovo genere di sprezzata opulenza nell’onda a sorreggere giganteschi edificii. Ordinario arredo alle spose i tessuti circassi, i manti di Catigára; e sulle mense vini d’ogni clima e d’ogni colore; il cipero di Egitto, la noce di Samarcanda, i dittami d’Ida, la mirra e il cardamomo d’Armenia, e le voluttà e le lusinghe e i profumi di tutta l’Asia. Ben è da perdonare al Carpaccio se dipingendo l’Indemoniato, che all’apparire della benedetta reliquia che il deve sanare tutto si trasmoda nel volto e nella persona, il rilega nella parte del quadro meno visibile, sur un terrazzo, e guida il pennello a dipingere largamente quel ponte, che, non qual oggi si vede afferrato alla terra co’ suoi due gran capi, e sovratteso sulle acque con mirabile incurvatura, ma era a que’ tempi non più che artificioso congegno di tavole, interrotto nel mezzo da altro picciolo ponte, o, direm meglio, traietto, affidato a lunghe