terra, a far invito a qualcheduno di quaggiù che la segua? La storia di quella donna, meglio che sui leggendarii, ebbe a trovarla il Carpaccio nel proprio cuore. Che che ne sia di tal fatto, loderemo noi grandemente questa composizione? Sarebbe qui luogo a ricordare le belle lezioni di quel moderno che con ragionamento sì fino, e con erudizione sì copiosa, ha mostrato altro essere ciò che a poesia si concede, altro ciò che a pittura; il tempo a quella, a questa essere in dominio lo spazio; per conseguenza le impressioni simultanee dall’una, richiedersi dall’altra le successive; e a fronteggiare questi principii, che non da critica assottigliatrice e smaniosa, ma scaturiscono da osservazione riposata e costante, verrebbero molto opportuni i quadri testè ricordati dello strazio della legione tebea, e della glorificazione di sant’Orsola. Però limitandomi a un solo dirò, che quanto egli è bello ad udire aver le vergini benedette fatto fascio dei proprii dolori, e su di esso, come fiore da proprio stelo, essere germogliata la loro gloria; tanto spiacente ad esser veduto, è quel monotono costipamento di palme, e quella sovrapposizione di teste, da cui è ventura se spunta una mitra che le interrompa, se spiccasi uno o due visi di rara bellezza che le disceveri. Ma a quel vecchio tempo è assai facile di ritrovare ripetuti esempi di questi infelici trascorrimenti ne’ confini d’arte non propria, e però non vorremo accagionare il Carpaccio di ciò che forse era colpa del secolo.