stizia e la crudeltà aiutate dalla fortuna. E mentre non anco terminata è la pugna, e se ne veggono di lontano gli ultimi moti, sul davanti del quadro si danno i legionarii malvagi ad esercitare lor arte. E qual vedi non più che preso, e quale di già legato; a tale si adattano con duro spasimo le membra su tronchi incrociati; tal altro si sospende ad un ramo, e di là si lascia cader spenzolato: e manigoldi che accorrono con funi ed orridi ordigni; e martelli cadenti, e daghe che impiagano, e sangue che sgorga a ogni luogo dalle ferite. Non può a meno di rifuggire la vista da così nuova carnificina, e da quasi una selva animata di mani e di piedi, miseramente stirati e stravolti, che intramischiandosi, interrompendosi in mille modi, per poco non dico occultare la vera selva che accoglie e sostenta quelle tante mostruosità d’uomini martoriati colla prodigiosa spessezza delle sue fronde. Impassibile intanto il pessimo imperatore, o chi per esso, circondato da non so che figure di barbari magnati, impediti la fronte con bizzarre acconciature di bende e d’alti turbanti, stende la mano forse a persuadere, forse a minacciare Maurizio, il capo della invitta coorte. E Maurizio, piegato davanti al monarca nelle ginocchie, ma col cuore in Dio alzato e sicuro, risponde come uomo che vede già nel futuro riverirsi da tutti quell’arbore di verità, che, inaffiato dal sangue, si leva e frondisce più vigoroso. E già alcun angiolo è sceso a spiccare come eletto fior dalla pianta le anime