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le insidie degli inferiori, e quelle tante e sì lunghe e sì varie offese degli uomini e della fortuna, che per poco non lasciano dubbio se certe singolari disposizioni d’ingegno debbano essere chiamate privilegio o gastigo! Questa amara, ma irrepugnabile verità sembra forse incredibile a molti, i quali non sanno che lunghi spasimi, che lunghe dubbiezze precedano lo scoppio improvviso di quella splendida idea che, tutta irradiando la mente al giovane artista, il fa certo della sua vocazione, e gli dà animo di esclamare nell’ebbrezza della sua anima: ho trovato! ho trovato! Non sanno, dico, o non vogliono i più saper nulla di questo, e si credono assolti dalla rispettosa commiserazione dovuta a quella febbre generosa dell’anima che chiamasi genio, e cui gli antichi, avvezzi a nobilitare ogni cosa, stimarono alcun che di divino. Che quando pure cessassero le guerre esteriori, e all’ignorante disprezzo subentrasse il rispetto; quand’anche il tiranno bisogno fosse bandito dalle case ove alberga l’ingegno, e questo potesse spaziare sicuro per tutti i campi e mettersi a tutte le prove, non crediate fosse quindi tranquilla la vita dell’artista. Non vorrete certamente dolervi, o nobile adunanza di artisti, se confesserò apertatamente starsi con voi il sentimento di una irrequieta operosità che fa di avvicinarsi sempre al perfetto senza poter mai raggiugnerlo. E mi gioverò del mitologico esempio di quella tra le ninfe predilette da Giove, che, cedendo agli al-