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se tenta di arricchire, e nulla più che compiangerlo se gli sfallisce il disegno.

Ma c’è da considerare più ancora di quanto fin qui abbiamo detto. Ci sono anche i Salmonei della virtù: come? dirà taluno, è cosa la virtù che si maneggi, e che dia quindi speranza di poter essere fabbricata? — Ecco qui. Non basta alcune volte all’insaziabile cupidigia dell’uomo la considerazione che si procaccia tra’ suoi fratelli co’ beni della fortuna, vuole anche guadagnarsi quella specie di stima che viene accordata all’altezza dell’ingegno, o alla gentilezza del cuore. Nel primo caso abbiamo il Salmoneo scrittore, di cui s’è detto, che fulmina finte tragedie, finte orazioni, finti trattati; nel secondo il Salmoneo virtuoso. Che fa costui? Si mette a decomporre la virtù. Decomporre la virtù? Vedi pazza fatica! Quasi non fosse da un menomo che, aggiunto o scemato inopportunamente, che la virtù può diventare quel vizio cui sempre è vicina. Si mette quindi, senza più, a praticarla, e scaglia le sue folgori d’onestà portentosa fra l’attonita moltitudine. Ma che? Tutto è chiarore di lampo e rimbombo di tuono. Gli occhi ne rimangono abbacinati, intronate le orecchie: ma il vero effetto della virtù non si vede. Il povero Salmoneo si è contentato di un poco di corteccia superficiale, poichè non gli si concedeva di passare più oltre, e si fece ipocrita pensando di riuscire virtuoso. Le crudeli battaglie, la volontà pertinace, i solenni sagrifizii