Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/115


107

te più gli parve opportuno che impugnarne la folgore. Ma che? Non era Giove che, secondo il giudizio delle genti d’allora, dispensava anche i beni che fanno lieta la vita mortale? Ora perchè non imitarlo in questo pio ministero anzichè nel lanciar delle folgori? Girando gli occhi della mente ai Salmonei del nostro tempo, giacchè ogni tempo ne ha di suoi proprii, mi avvidi che seguono il costume di quell’antico. Pigliano dalle grandezze cui presumono d’imitare, no il bene, ma il male. La magnificaggine sua guarda in cagnesco chi gli passa da lato; parla interrotto e come a scosse di singulto; delle tre cose di cui l’interroghi si degna rispondere a mezza. Ora che fa madonna scimia? Affetta la ciera sbirresca, le parole mozze e spicciolate, il fare distratto della magnificaggine sopraddetta. Ma, e il tenere le fatte promesse, l’usare misura nel discorso, il non immischiarsi ne’ particolari di checchessia, perchè madonna scimia li lascia da parte? Sempre folgori, e non mai rugiade? Così è, al Giove posticcio è necessario più che altro il cattivo tempo.

In questa parte, a dir vero, non seppi far a meno di condannare l’antico re d’Elide, e avere un po’ di gusto di quella saetta che gli fece assaggiare il corrucciato monarca de’ cieli. Allo incontro la seconda riflessione, che a prima giunta pareva dovesse farmi più sempre spregevole il folle millantatore, gli guadagnò la mia pietà. Come? dissi, sempre fra me; non s’avvide il ba-