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XIV. ATI.

Conosco taluni a’ quali tanto è coltivare le lettere quanto il prendere un poco di fresco lungo la riva del mare, o starsene a fiutare una rosa spiccata per caso. Noiati da quelle ch’essi chiamano le loro faccende, gettano a caso gli occhi sur un libro, o pigliano in mano una penna per farla correre da dritta a sinistra sopra quel primo foglio di carta che incontrano sul tavolino. Quando essi dicessero: ciò serve a mia ricreazione; e di tanto si contentassero, non ci sarebbe che soggiungere: chi vorrà far colpa a Menandro se in compagnia d’amiche persone, mentre altri suona, si pone a ballare, quando anche le sue capriole non siano tagliate tutte aggiustatamente? Ma se Menandro monterà il palco, e nel cospetto di un migliaio o due di persone vorrà tentare a soli, o terzetti, come s’usa da’ ballerini di professione, chi sarà che non gli dica: Menandro tu impazzi; a far ciò si vuole una particolare disposizione di membra e studii particolari? Ora il fatto di que’ taluni, da me pur ora citati, è di tal modo. Pigliano le lettere come trastullo, non per averne quel diletto ch’esse sono destinate di spargere in tutti gli animi indistintamente, ma per erigersene in maestri e censori, e credersi atti a fare per caso, e come vien viene, ciò che altri non ottiene che con lungo esercizio d’ingegno, e continui sagrifizii di mol-