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x prefazione

nomadi. Le rondini viaggiatrici insegnarono all’uomo di fermarsi. E gli dettero il modellino della casa. Solo, l’uomo lo capovolse.

Ma questa voce che è? Un rotolìo che mai non finisce, come d’un treno che non arriva mai. È il Fiume, cioè il Serchio. Di’, Maria, dolce sorella: c’è stato tempo che noi non s’udiva quella voce? Oh! sì: belle Panie aguzze e taglienti, bel fiume sonoro, cari balestrucci affaccendati, care verlette, care canipaiole, cari reattini, caro campanile; sì, c’è stato quel tempo che noi non si viveva così da presso. E se sapeste, che dolore allora, che pianto era il nostro, che solitudine rumorosa, che angoscia segreta e continua! Ma via, uomo, non ci pensare: mi dite. Ma no, pensiamoci anzi. Sappiate che la dolcezza lunga delle vostre voci nasce da non so quale risonanza che esse hanno nell’intima cavità del dolore passato. Sappiate che non vedrei ora così bello, se già non avessi veduto così nero. Sappiate che non godrei tanto di così tenue (per altri!) materia di gioia, se il martòro non fosse stato così duro e così durevole e non fosse venuto da tutte le possibili fonti di dolore, dalla natura e dalla società, e non ne avesse ferito tutte le possibili sedi, l’anima e il corpo, l’intelligenza e il sentimento. Non è vero, Maria? E benedetto dunque il dolore!