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18 italiani all’estero

si va assistendo da qualche anno allo spettacolo che vorrei dire umoristico, se non mel vietasse la profonda pietà, di turbe di lavoratori italiani partecipanti con violenza clamorosa a disordini aventi per dichiarato scopo lo Sfratto legale del lavoro straniero. A Marsiglia gli italiani, a lungo mantenutisi neutrali nelle contese fra capitale e lavoro, hanno ultimamente partecipato agli scioperi che han turbato, dal 1900 in poi, la vita di quel porto; rappresentando nei tumulti avanguardia irresponsabile ed impulsiva lanciata, a minaccia dell’ordine pubblico, dai dirigenti i sindacati locali.

Gli effetti di questa prova disinteressata di fratellanza non si fecero aspettare. Composto il conflitto, mentre la stampa sindacale e i compagni indigeni riversavano generosamente sovr’essi tutta la responsabilità dei danni prodotti, strepitando più che mai per il loro licenziamento, gli chauvins del Parlamento osavano paragonare questo ingerirsi degli stranieri nei tumulti locali nientemeno che alla occupazione inglese di Tolone nel 1793. «Migliaia di italiani, — urlava alla tribuna un autorevole e repubblicanissimo ex-ministro — per un momento padroni del nostro gran porto mediterraneo, furon veduti ritardare la partenza dei rinforzi per la Cina, tagliare le comunicazioni della metropoli coll’Algeria e le colonie. Questa presa di possesso dei sindacati internazionalisti sui sindacati francesi di Marsiglia altro non è che una minaccia per la sicurezza del territorio nazionale; forse, se le circostanze vi si prestassero, per la sua integrità: in ogni caso l’abbassamento politico e militare della Francia, preparato mediante la distruzione delle sue forze economiche!»

La questione di concorrenza economica ayeva suscitate contro l’operaio d’oltr’alpe le animosità del proletariato; l’ossessione del pericolo nazionale doveva scatenargli contro le invettive furenti dell’intiero paese.

Di fronte a questi frutti incoraggianti del metodo suggerito, pochi, ne son certo, tra gli stessi proponenti d’allora, ardirebbero associarsi oggi alle conclusioni del Congresso d’Udine del 1903, cui si deve in buona parte l’incitamento ad una siffatta linea di azione.

Il vero è che, ove si voglia seriamente parlare di organizzazione efficace del lavoro italiano all’estero, questa non può essere che rigorosamente autonoma, collegata forse sebbene non subordinata, agli organismi di solidarietà esi-