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nare i timori, in buona parte ingiustificati, e ad ogni modo relativi ad interessi transitori, di pochi, alle ragioni di progresso permanente, sia pure della sola classe che la propugna e la adotta.
In fondo, a chi ben guardi, il concetto fondamentale da cui è governato il pregiudizio anti-straniero conserva molti punti di contatto con la famosa teoria del « fondo salari », del Mill, oggi cosi universalmente abbandonata e caduta in discredito.
Anche nel caso nostro sembra si ritenga che il capitale impiegato nella produzione e destinato a pagamento di mercedi sia, in un dato periodo, un che di fisso, non aumentabile in conseguenza della maggior produzione e in rapporto alla maggior o minor convenienza degli impieghi di tal natura; onde la logica conseguenza che ad ogni accrescimento del numero totale di operai impiegati dovrà corrispondere una proporzionale riduzione nella quota assegnata a ciascuno.
Non si tien conto così che ogni aumento nel numero dei lavoratori può esser accompagnato, specialmente nei paesi nuovi, da un aumento più che proporzionale nella produzione, e per conseguenza nelle mercedi del lavoro. Ne è senza significato per noi il fatto che furon precisamente gli economisti americani ad illustrare cogli esempi di quanto quotidianamente avveniva sotto i loro occhi, questa capitale obbiezione al principio del « fondo Salari », dimostrando l’errore di ritener l’operaio, secondo l’efficace espressione di Arnoldo Toynbee, « come un divisore, anziché come un moltiplicatore ».
Concludendo, ci sembra che l’ostilità delle classi lavoratrici, specialmente dei paesi nuovi, contro questo maestoso fenomeno dell'immigrazione, in cui vediamo una delle più grandi e benefiche forze equilibratrici dell’economia mondiale nell’età nostra, si presenti, nei moventi e nelle conseguenze, assai simile all’odio inconsulto con cui i proletariati della prima meta del sec. XIX accolsero l’introduzione delle macchine nella industria.
Allora, come oggi salirono al cielo i lamenti contro la sostituzione del lavoro umano per parte dei nuovi congegni; e si ebbero resistenze accanite di corporazioni disturbate nel loro secolare monopolio; e invocazioni clamorose di legislativi interventi; e atti di vandalismo barbarico e feroce.
Ma l’esperienza non tardò a dimostrare la profonda verità di quanto gli economisti avevan predetto circa l’enorme vantaggio che la rivoluzione industriale avrebbe recato alle classi lavoratrici nel loro complesso, aumentando immensamente la produzione e la domanda di mano d’opera, quindi necessariamente i salari e la media dei consumi.