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tanto in tutte le regiomi meridionali (1). In Australia poi le conseguenze dell’articolo si risolvono non di rado in episodi veramente comici. Nel 1902 un fabbricante di cappelli di Sydney osò chiamare dall’Inghilterra sei operai scelti, obbligandosi verso essi per un certo periodo ed una paga determinata (condizione indispensabile ad indurli all’espatrio). I loro arrivo però fu tosto segnalato dalle unioni, che denunziarono la manifesta violazione della legge, chiedendo si applicassero ai « colpevoli» le pene comminate: sei mesi di carcere e, in aggiunta o in sostituzione, lo sfratto immediato. Il che quei malcapitati evitarono soltanto merce la sottigliezza giuridica del primo ministro, che ritenne applicabile al caso l’eccezione ammessa dalla legge a pro di operai le cui abilità tecniche specialissime fossero imperiosamente richieste dalla constatata deficienza delle intiere maestranze australiane; espediente che, come osserva un arguto di quella democrazia, « trasformò in farsa il capolavoro politico dei nostri tempi » (2).

Ad ostacolare l’organizzazione del fenomeno migratorio secondo criteri di utilità generale intende del resto anche per altre vie l’azione pratica delle forze sindacali.

Le ostilità pertinaci con cui le unioni cercano di annientare piccoli raggruppamenti mutualistici rivali (3) acquistano un’acredine specialissima quando le società dissidenti sono composte di stranieri ed integrano gli intenti della previdenza economica con quelli della solidarietà nazionale. Ne offron esempio la crisi eravvissima che attraversan da alcuni anni i sodalizi di mutuo soccorso delle principali colonie italiane per l'azione disgr sgatrice dell’elemento socialista, avente per ideale di trasformarle in sezioni affigliate dei partiti democratici indigeni (4); e gli ostacoli di diversa indole che incontrano nella loro formazione le prime unioni di mestiere italiane, per le quali le leghe indigene non dissimulano l'antipatia (5).

Non è dunque la forma della concorrenza, ma la concorrenza



  1. (1) Cfr. Emigrazione e colonie, vol. Ill, parte 3* (1909), pag. 23.
  2. (2) Cfr. A. H. Lepaer, Australian socialism, pag. 157 e segg. Il medesimo autore racconta il caso, non men curioso, di un grande imprenditore agricolo inglese che, nello stesso anno, propose di venir a colonizzare una vasta estensione di terre australiane, portando seco, oltre il capitale, anche la mano d’opera occorrente, ma che ne fu impedito dal vigente divieto di arruolamento di lavoratori esteri in vista d’un’impresa da compiersi in Australia. Ibid., pag. 159.
  3. (3) Cfr. S. e B. Wesz, La democrazia industriale (trad. it.), pag. 144 e segg.
  4. (4) Cfr. iL nostro studio: “ La tendenza associativa fra gli italiani all’ estere nelle sue fasi pit recenti , in Riforma Sociale, settembre-ottobre, 1906.
  5. (5) Cfr. Emigrazione e colonie, vol. Ill, parte 3° (1909), pag. 157.