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plissimo margine esistente tra le due cifre lasciava in pratica un largo campo, assai più che al risparmio, al dilagare dei vizi in quel proletariato. A ciò egli attribuiva la preferenza che vien data, anche in quei lontani paesi, ai pochi italiani, i quali, vinto l'ostacolo della lingua e del primo collocamento, non tardano a farsi apprezzare per una sobrietà, assiduità al lavoro ed abituale economia ignota a quei ceti operai, di giorno in giorno più infingardi e dissipatori (1). « La sola vera concorrenza, aggiunge lo Zunini, che l’operaio italiano fa all’indigeno è quella (forse più temibile) che consiste nelle sue buone qualità, la sobrietà, l’abilità e l’amore al lavoro, che lo fanno preferire all’australiano e che hanno reso (come generalmente si ammette, sopratutto pel lavoro delle miniere) indispensabile, nonostante la guerra mossagli dall’elemento indigeno. Si potrebbe quindi verificare il caso, non che i salari ribassassero, ma che l'operaio del paese restasse disoccupato, dovendo cedere il posto all'italiano » (2).

Se cosi stanno le cose è pur d’uopo ammettere che alle limitazioni legislative alla concorrenza straniera, trattisi di cinesi d’Asia o di cinesi d'Europa, è applicabilissima la boutade di Vilfredo Pareto : « Quando si sente dire, nel gergo moderno, che una legge è largamente umana, occorre tradurre e dire che favorisce gli infingardi e le birbe » (3).

Il grande vantaggio economico del cosi detto « espediente della norma comune», cioè del saggio tipico di rimunerazione, che è uno dei canoni della politica unionistica, sta, secondo i più autorevoli studiosi e patrocinatori del movimento, nello spostare che cosi si fa « del punto su cui si esercita la pressione da un elemento del contratto all'altro, dal salario all’opera, dal prezzo alla qualità... L’efficacia produttiva dell’industria si avvantaggia del fatto che ogni posto sia coperto dal miglior candidato disponibile. Se invece dell’uomo nel fiore della virilità si da la preferenza al vecchio, se si preferisce l’operaio di abitudini irregolari al lavoratore assiduo, vi è evidentemente una

perdita generale. Dal punto di vista dell’economista, cui sta a cuore il conseguimento dell’efficacia più alta dell’industria nazionale, si deve trascrivere a merito dell’espediente della norma comune che esso costringe l’imprenditore, nella scelta degli operai per coprire i posti vacanti, a tentare continuamente, dacché non può avere un « ope-



  1. (1) Cfr. Gli italiani nell’ Australia e nella Nuova Zelanda, pag. 527,
  2. (2) Cfr. “ La colonia italiana nell’Australia Occidentale » in Emigrazione e colonie, 1903, vol. II, pag. 548 e segg.
  3. (3) Cfr. Manuale di economia politica, pag. 110.

13. - Prato.