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Io non lo posso. O antica
madre, il mio cor ben ode
220sul remoto Cefiso i tuoi lamenti.
Presto qualcun ti dica:
— Leucippo vostro è un prode.
D’Imèra all’acque si cerchiò di spenti. —
E se narrar ti deve,
225ch’io son caduto, ahi! greve
noi ti sia, madre. Anzi tu possa altèra
sciamar, com’i’ ’l desio:
— Ben cadde il figlio di Nearco. Egli era
sangue di Grecia e mio! —
230Quante armi intorno! oh, quanti
petti di Siracusa,
petti di ferro ed anime di foco!
lelón, lelón, gl’istanti
deh! raccorciam. La chiusa
235vampa del cor chiede alimento e loco.
Arde le sacre vene
di Siracusa e Atene
un egual dio. Greche e trinacrie donne,
trafitti o vincitori,
240diman vestite le piú allegre gonne,
e ornate il crin di fiori. —
Non finia di cantar, per un araldo,
lelón chiede Leucippo entro la tenda.
E gli dice: —Guerrieri però che l’inno
245ti meritò tal nome, ai di far bello
il di della tua fama?
— Ardo obbedirti,
gloria gentil della terrena razza,
che in te mi splende la ragion d’un dio.