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il tuo Dio balenò. L’nnime illustri
l’han sentito, morendo. E. quando l’arco
armò la furibonda Africa ignuda,
e sui carri la immane Asia laneiossi
85il gran petto a ferir dell’Occidente,
al sacro petto, non gl’iddíi bugiardi,
fu corazza il tuo Dio. Sopra ogni greca
elsa brillava l’avvenir: l’eterna
promission de’ cieli.
Ancor non era
90venuta al mondo la ragion di Plato,
né si pernia dell’empia tazza Atene.
Volvean giorni remoti. Ed in quei giorni
Satana, antico come il tempo e immane
contra Tuoni che gli serve o lo disfida,
95anelava battaglie.
E, abbandonate
le gran caverne dei dolenti regni,
cupida belva, s’avvolgea, ruggendo,
per le sale rii Serse a concitarvi
il furor delle pugne, onde su’ greci
100di Micale e Platea si vendicasse
l’antico lutto. E poi correa d un volo
nella stess’ora alTa f rican deserto,
quel fiero seme a stimolar, che l’atre
sue cavalle lanciasse a dissetarsi
105nel freddo Imèra e con le zampe orrende
risvegliar Siracusa e calpestarla.
Tanto Tellenie e le sicane case,
custoditrici del penate antico,
quel mostro abborre, e al livido camita,
110figlio gigante deil’error, sorride!
Ed ecco in giostra dalle perse prode
e dai cartaginesi antri s’avventa
contra le greche e sicule fortune
Amilcare e ’l gran re. Pugna un laceno