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nell’ombra, circondato dal silenzio. Nessuno parve piú volere ascoltare la sua voce; mentre altre voci si levavano ed attraevano Pattenzione. Quell’abbandono improvviso, quella solitudine a cui non era avvezzo, furono per lui un grande dolore, che détte espressione a sue crucciose lagnanze; ma poeticamente quel dolore fu sacrosanto, perché in esso si operò un miracolo, non grande e stupefacente, ma miracolo sempre.

Giá nella sua poesia, o versificazione, della giovinezza e dell’etá matura, tra il frastuono dei ritmi sonanti e il carnevale delle imagini esteriori, qua e lá si faceva sentire, a tratti, l’accenno di accenti piú sinceri e profondi; accenti ora di una dedalea fantasia naturalistica, ora di una languida ma sincera elegia. Abbandonato e disdegnato, il povero poeta, ripiegandosi sulla propria anima, e cantando ormai, non piú per la folla, ma per se stesso, ritrovò, fra le macerie di stucco della sua letteratura inverosimilmente conglomerata dei luoghi comuni del classicismo e del romanticismo, alcune vene sottili, ma limpide, fresche, profonde. Ne venne una trasformazione, una vera trasfigurazione dal semplice virtuoso, che riusciva solo a scatti e frammenti poeta per caso, al vero poeta, alle volte purissimo e profondo. Trasfigurazione lenta e progressiva, che, cominciando dalle parti liriche dell ’Armando, si dimostra sempre piú nei troppi sonetti della Psiche e trionfa alla fine, e pienamente, in non pochi canti d éíl’/side, il volume della sua vecchiaia. Non manca, nemmeno in questo ultimo volume, la materia morta, sia che fossero avanzi della sua maniera anteriore, sia che il Prati ritornasse, a tratti, alla sua facilitá versaiola di un tempo; e si possono rilevare pure stridenti disuguaglianze anche nelle poesie di nuovo stile, fra il classicismo semplice ed immortale alle volte raggiunto, ed un classicismo di imitazione oraziana spampanantesi romanticamente. Ma il progresso, nella conquista di questo hortunculus di poesia, è continuo; e noi assistiamo al piccolo miracolo di un artista che ritrova veramente la sua pura giovinezza a mano a mano che su lui si accumulano piú gli anni, che, togliendolo alle facili ed efimere impressioni esteriori, lo costringono a ricercare veramente se stesso; allo spettacolo di una specie di primavera o di estate poetica di San Martino, un po’ pallida di colore e dai fiori tenui; ma di quanto superiori alla grossa fioritura artificiale della giovinezza e dell’etá matura del poeta.

Questa singolare condizione della produzione pratiana ha dettati i criteri da noi adottati per questa scelta. Abbiamo fatta una