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XXXII
CANTO DELLA PARCA
Carmina fatidicae, modo pandite carmina. Parcae.
— Del sole il lume, torbido o gaio,
percota i vetri del tuo stambugio:
io qui nell’ombra sul mio telaio
traggo il diverso fil de’ tuoi dí;
5e il mio travaglio non soffre indugio,
ché il Tempo, austero guardian, m’incalza,
e, ad ogni novo mattin che s’alza,
sempre lo sento gridar: —Son qui. —
Fanciul di Pirra, non ti lusinghi
10un lieto maggio di brevi istanti:
l’amaro verno coi di solinghi
portico e tetto ti fascera.
Tracanna pure nappi spumanti,
ma indugiar l’opra non ti riesce;
15di filo in filo la trama cresce
e la mia spola tregua non ha.