Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/238

CXIII

POPOLI E RE

Popol e re, né a voi vivere eterni
concede il Tempo, che pietá non serba
a la lucciola e a l’astro, al cedro e a l’erba,
lanciando in tutto i suoi divini scherni.
Le famiglie del mondo han fati alterni,
come piace a la dea, eli’è in ciò superba
di mandar l’ora lieta ov’è l’acerba,
e i freschi maggi incanutir co’ verni.
Dormono i forti in Maratona; e scherza
la greca schiava a’piè dell’islamita;
e su Tossa di Varo Arminio sale.
Agita intanto Ipperion la sferza
sui cavalli divini; e la infinita
vanitá delle cose è sempre eguale.

CXIV

NEVE

Altri le mani tremule riscalda
ai ginepri odorosi; altri corona
il bicchier di vernaccia, e fa più balda,
novellando, la voce e la persona.
T riguardo da’ vetri a falda a falda
cascar la neve: né l’Olimpo tuona;
né stride il vento; né, dell’Orco aralda,
la corva errante il negro di mi suona.
Piú che Pesto fiorita, a mezzo il verno,
m’è soave mirar questo, che asconde
d’Iside i baci, sconsolato velo.
Sotto questo gran vel passa Teterno
spirito della vita: e i fiori e Tonde
saran domani un vasto inno del cielo.