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LXXV

MONELLO

     Col mento a l'aria o con la testa bassa,
su la mia porta, quando l’ora imbruna,
talor m’arresto a contemplar la luna,
se c’è nell’alto, od a guardar chi passa;
     e alcun tristo pensier non m’importuna
la vacua mente, di ricordi lassa:
ma, se un monello, oltre varcando, chiassa,
delle memorie mie parlo a piú d’una.
     Con le palle di neve, a mezzo il verno,
mi lancio in zuffa: a mezzo april, da’ rami
dispicco i nidi, armo flottiglie, alterno
     la fionda e il razzo. E a te, che in questo giro
di perdute dolcezze il cor mi chiami,
strepitoso monello, a te sospiro.

LXXVI

OZIO

     Lume ed amor degli eleganti achei,
Ozio, t’invoco: nel mio picciol lare
penetra, e sali sul fiorito altare,
e presiedi a le celie e a’ sogni miei.
     Vedrem le ninfe, i satiri, gli dèi,
Argo, Atene, Corinto e d’Ega il mare,
l’Asia, i califfi, le burgundie gare,
le franche giostre e gl’itali tornei.
     E incideremo in tavole di rosa
le allegre fantasie dell’intelletto:
che Certaldo di noi non si vergogni.
     Ozio d’Ellenia, a me vicin ti posa,
e dileguiam, sognando. È gran diletto
vanir su l’ala dei ridenti sogni.