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LXXI

OMERO

Da ignota patria e da parenti ignoti
costui procede; e, come passa appena
su le ceneri d’Argo e di Micena,
sorgono i re dell’Asia e i sacerdoti.
Sorgono; e il dado è tratto, e nell’arena
scendono a torme i dorici nipoti;
e su Tare agli dèi lacrime e voti
spargerá indarno la fatai Lacena.
Ilio è in faville, è spento Ettore, è doma
la gran Dardania; a l’ardua Itaca Uiisse
riede, e nel cor d’Enea s’agita Roma.
E giá al Lazio la frigia aquila romba;
e, arcano augurio a le seconde risse,
squilla sul Celio la meonia tromba.

LXXII

OH, PIÙ FELICE!

Sii poeta o pittor, sofo o guerriero,
e, superando il tempo e la fortuna,
stampa te stesso nell’altrui pensiero,
e il tuo nome fa illustre e la tua cuna:
che ti varrá? Non serberai pur una
delle rose concesse al tuo crin nero:
t’incalza il tempo, e su l’aiuola bruna
cresce fra tanto il fior ilei cimitero!
Di tutti essendo, in aureo lacunare,
non sarai di nessuno. Oh, piú felice
chi oscuro arriva e se ne parte oscuro!
Avrá lacrime e ledi in picciol lare:
né poi l’ultimo Tempo a noi ben dice
se il riposo de’ grandi è più seeuro.